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L'attività in acqua

 
All'interno delle innumerevoli attività che possono essere svolte in acqua le attività subacquee hanno in se stesse enormi potenzialità, possono essere fonte di esperienze diverse ed estremamente stimolanti, e, dando la possibilità di sperimentare l'assenza di gravità e l'assenza di rumore, mettono l'individuo in contatto con una parte di sé nuova (Belloni, 2007).
Tutto questo è ancora più ricco di potenzialità se pensiamo alla possibilità di svolgere un'attività complessa come la subacquea in un contesto di gruppo, con altri bambini, ragazzi e adulti, all'interno di un ambiente che per le sue caratteristiche risulta stimolante e facilitante, come la piscina del Cto di Firenze. La temperatura dell'acqua di 32° facilita l'ambientamento e permette tempi di attività dilatati; la struttura della vasca, con i suoi tre livelli di profondità, consente di adattare l'attività alle capacità dei ragazzi e di promuovere maggiori competenze natatorie; l'accesso facilitato attraverso le scale agevola i ragazzi con difficoltà motorie; la presenza di un Assistente Bagnante esterno garantisce la sicurezza e la gestione dei materiali; mentre l'ingresso riservato e l'accesso diretto dallo spogliatoio alla vasca stimolano l'autonomia e l'acquisizione delle routine legate all'ambiente piscina favorendo il distacco dal genitore.
E' sicuramente l'acqua l'elemento centrale dell'attività. L'acqua offre la possibilità di creare una relazione con l'altro basata sull'esperienza del gioco, del rispetto e della novità dell'ambiente; favorisce e facilita il contatto fisico e la riduzione dello spazio interpersonale, inoltre promuove una migliore gestione degli aspetti emotivi comunicativi e facilita il mantenimento dell'attenzione condivisa e congiunta (Caputo et all. 2008; Broglio, 2009).
L'acqua è inoltre un elemento che presenta una fortissima attrattiva per i bambini e diventa uno strumento d'elezione nel caso d'interventi con bambini e ragazzi con difficoltà fisiche e psichiche di vario tipo.
 
5.1. Struttura e organizzazione del progetto
 
Pes è un percorso di subacquea adattata che si modella sulle specifiche
esigenze di ogni bambino e ragazzo.
Il gruppo di lavoro, composto da sette operatori sub (tre istruttori, due buddy e due assistenti), da due psicologhe e da un massimo di sette bambini, ci permette di garantire sempre un rapporto bambino/operatore di uno a uno. Questo costituisce un importante punto di forza in quanto promuove una migliore relazione con l'operatore e facilita la relazione bambino/bambino, garantisce la sicurezza in acqua e promuove l'apprendimento sia in termini di intersoggettività che di utilizzo dell'attrezzatura subacquea.
L'equipe in modo sinergico gestisce tutto il progetto, dalla valutazione iniziale delle competenze psicomotorie, acquatiche e relazionali utili per la formazione dei gruppi, all'uscita in mare aperto.
Ogni progetto prevede da un minimo di otto ad un massimo di dodici incontri in
acque delimitate (piscina), e si conclude con un' uscita in acque libere (mare) al fine di generalizzare quanto appreso e sperimentato durante il corso.
L'attività, che prevede momenti più o meno strutturati, viene coordinata dal lavoro delle psicologhe che seguono il percorso in acqua e il gruppo in ogni momento.
E' prevista una valutazione iniziale dei ragazzi volta a evidenziarne le competenze in termini di autonomia, acquaticità e relazione.
La valutazione permette di strutturare in modo più omogeneo i gruppi di lavoro in
acqua sulla base degli obiettivi individuali e di gruppo.
Gli obiettivi specifici sono:
 
Promuovere l'acquaticità;
Favorire l'acquisizione di competenze e conoscenze dell'attrezzatura subacquea;
Favorire l'acquisizione di autonomia nella gestione dei materiali;
Favorire l'acquisizione di autonomia rispetto alle routine connesse all'ambiente piscina (preparare la borsa, spogliarsi, lavarsi, vestirsi);
Favorire e stimolare l'interazione e l'interscambio;
Promuovere il rispetto delle regole, dei tempi di attesa e l'alternanza del turno;
Garantire adeguate esperienze educative e ricreative.
 
5.2 La subacquea adattata alla disabilità psichica
 
Se è importante adattare la subacquea per l'adulto con disabilità motoria e/o sensoriale, a maggior ragione lo è per il bambino con disabilità psichica; ma, mentre nel caso dell'adulto sono ormai conosciute e consolidate tecniche e metodologie, è con il progetto Pes che si inizia a parlare di subacquea adattata alla disabilità psichica nel bambino.
Ogni incontro prevede fasi specifiche sia nell'organizzazione dell'attività e dei giochi psicomotori che nella presentazione dell'attrezzatura (maschera, bombole, gav ecc).
Sono previsti momenti di attività di gruppo fuori e dentro l'acqua seguiti da attività a coppie operatore/bambino, bambino/bambino e da momenti di condivisione in piccolo gruppo ed attività libera.
Il gioco e i materiali ludici costituiscono i mezzi privilegiati per la sperimentazione dell'attrezzatura subacquea: imparare ad indossare la maschera e la muta, i calzari e le pinne, a respirare con il boccaglio e successivamente con l'erogatore, supportare il peso del gav e della bombola, e infine nuotare a due metri di profondità.
L'approccio alla maschera è sicuramente il primo step, riconoscerla, accettarla sul volto, capire che cuffia e capelli possono far entrare l'acqua, far capire che il naso deve stare in quella sede, e soprattutto che è possibile tenere gli occhi aperti.
Lo snorkel è il passo successivo. Inizialmente il "tubo" viene presentato
come strumento per fare le bolle e schizzare l'acqua lontano, e poi per respirare.
La vestizione con la muta è sicuramente un altro passo importante.
Gli adattamenti sono indispensabili, come ad esempio la vestizione in acqua, e non tutti accettano fin da subito la costrizione che può causare.
Nel contesto della piscina la muta serve esclusivamente a proteggere il corpo dall'abrasione dei cinghiaggi dell'attrezzatura, ma diviene uno strumento imprescindibile per l'immersione in acque aperte.
Le pinne sono forse l'attrezzatura più difficile da introdurre, non tanto per
come si indossano, ma bensì per l'uso e la funzione.
E' facile metterle e allacciarle ma muovere i piedi per aumentare la propulsione non è per tutti automatico e di facile comprensione: chi le usa per schizzare, chi come "molla" camminando sulle punte, e chi semplicemente le indossa senza muovere i piedi.
L'erogatore inizialmente è l'oggetto che fa rumore di cui diffidare, poi vinta la paura diventa lo strumento che fa le bolle in acqua, che soffia l'aria in bocca, che ti fa diventare un pesce e che ti permette di respirare sott'acqua.
L'apprendimento dell'uso dell'erogatore richiede molta calma e un'introduzione ponderata anche in base al livello di confidenza raggiunto da ciascuno con l'acqua e con il resto dell'attrezzatura. Richiede altresì molta attenzione, è fondamentale insegnare che l'erogatore non serve per parlare sotto l'acqua e che è importante non toglierlo mai di bocca quando si è in immersione, a meno che non si stia facendo un esercizio specifico.
Le prove di immersione con l'erogatore vengono fatte con la bombola sorretta dall'istruttore e una frusta lunga in maniera da lasciare spazio d i m o v i m e n t o al ragazzo.
Prima in superficie, dove si sta in piedi e si mette la testa sott'acqua, poi a sedere sul fondo vasca magari insieme ai compagni e poi nuotando con l'istruttore che, con l'attrezzatura indosso, accompagna il ragazzo con la supervisione di un altro sub.
Solo dopo numerose prove sarà possibile introdurre il gav: inizialmente come
supporto galleggiante su cui appoggiarsi, da spingere nuotando e poi da indossare senza bombola, e utilizzare per stare a galla e nuotare; poi suc c essivam ente indossato com prensivo di bombole.
Il raggiungimento di tali obiettivi richiede tempo e, se alcuni riescono in tutte le sfide proposte, per altri il traguardo di obiettivi anche parziali è pur sempre una conquista importante.
L'utilizzo delle attrezzature che può apparire semplice e immediato può, infatti, costituire per questi ragazzi uno scoglio importante.
Entrano qui in gioco le specificità di ogni disabilità e di ogni persona, basti pensare alle difficoltà che può incontrare una ragazza con paralisi cerebrale infantile nel tenere adeguatamente l'erogatore in bocca per la malocclusione o un ragazzo con sindrome di Down per la macroglossia. Allo stesso modo un bambino con autismo potrà avere difficoltà a sopportare la costrizione data dalla muta o dal gav.
Le proposte richiedono un adattamento continuo, e una certa dose di prontezza ideativa di fronte alle difficoltà onde evitare al bambino vissuti spiacevoli o esperienze negative.
La rotazione degli operatori su ciascun bambino nel lavoro a coppia è essenziale, garantisce una maggiore conoscenza di ciascuno e permette ad ognuno di noi di riuscire a fronteggiare eventuali momenti critici con maggior sicurezza.
La definizione degli obiettivi e le modalità didattiche e comunicative con cui vengono strutturati gli incontri costituiscono sì il risultato dell'esperienza raccolta, ma fanno prevalentemente riferimento a teorie di base già ampiamente dimostrate che guidano i principi del nostro lavoro come la Teoria dello Sviluppo Psicomotorio di Piaget (Piaget, 1967; Miller, 2002); il concetto di Zona di Sviluppo Prossimale di Vygotskij (Vygotskij, 1990); le tecniche Cognitivo- Comportamentali (Foxx, 2003; Meazzini, 1990); e, pur con adeguamenti e adattamenti, a teorie e modelli riabilitativi presenti in ricerca, quali la Terapia Multisistemica in Acqua (Ippolito, Caputo e Maietta, 2008) e la Terapia di Scambio e Sviluppo (Barthelemy C., Hameury L. e Lelord G., 1997)3.
I vari progetti attivati nel corso degli anni ci hanno permesso di modificare e apportare delle migliorie sia per quanto concerne le proposte operative e i materiali, sia per le modalità di lavoro, di valutazione e strutturazione dei gruppi. Sono state introdotti manuali illustrativi semplificati per facilitare il riconoscimento dell'attrezzatura subacquea e "schede materiali" personalizzate per facilitare i ragazzi nell'organizzazione dell'occorrente da portare in piscina.
Data l'eterogeneità del gruppo di lavoro in termini di conoscenze, sono stati programmati incontri di formazione interni, al fine di promuovere una maggiore conoscenza delle disabilità incontrate e la condivisione di buone prassi educative e comunicative. Sono stati poi introdotti colloqui strutturati con i genitori e schede di valutazione pre e post-progetto al fine di definire un vero e proprio profilo funzionale di ciascuno in termini di competenze sociali, relazionali e
comunicative; comportamenti-problema e livello di autonomia raggiunto.
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